Una domenica di fine ottobre.
Un bar di fronte a un parco giochi.
Siedo attorno a un tavolino all’aperto in legno in attesa del caffè e osservo 3 bambini, tra i 6 e i 10 anni, alle prese con il tentativo di estrarre «la spada dalla roccia».
Da quanto riesco a capire non sono fratelli o «amici» e si sono trovati a condividere lo stesso interesse usando quelle modalità inter-relazionali abbastanza tipiche dei minori delle loro età. Le famiglie sono sedute poco lontano da me.
Chiamandosi l'attrazione-gioco «La spada nella roccia» è chiaro che non si tratta di una superficie piatta e bassa, ma di una pietra, in cima alla quale sporge la parte terminale della spada con la sua impugnatura.
Il più grande dei 3 inizia col provare ad estrarla ma, non riuscendo (ovviamente non è previsto che ci riesca), sale in cima alla pietra e curvandosi sull'impugnatura incomincia a strattonarla cercando di farla oscillare.
Il ragazzino, che per altro non appare fisicamente agile, coinvolge allora gli altri 2 che immediatamente saltano sulla roccia e lo aiutano.
Il mio caffè è arrivato, ma è bollente. Mentre soffio sulla bevanda mi guardo attorno per vedere se qualcuno dei genitori si sta rendendo conto della situazione.
Le famiglie coinvolte sono tre, come i bambini. Una di loro è alle prese con il pranzo. La seconda con i cellulari (la donna e l'uomo che ipotizzo essere madre e padre o surrogati, controllano il telefono), la terza si è suddivisa i compiti: una donna accudisce un neonato di pochi mesi, l'uomo guarda quello che stanno facendo i bambini senza mostrare la benché minima intenzione di intervenire.
Inizio a sorseggiare il caffè considerando il gioco pericoloso e incominciando a chiedermi se sia il caso o meno di intervenire.
L'oscillazione dei tre piccoli aggrappati alla impugnatura mi inquieta. Se qualcuno perdesse la presa o l'equilibrio e scivolasse potrebbe farsi male. Ma c'è un altro pensiero che mi ronza in testa: il significato del gioco.
Lasciando perdere cosa la storia dica o meno rispetto a Merlino e alla spada, nel cartone animato della Disney, che suppongono conoscano molto meglio della storia, il protagonista riesce a liberare la spada non per la sua forza, visto che è un ragazzino, ma per le sue «qualità».
«Perché» mi chiedo «a nessuno degli adulti viene voglia di sottolinearlo?»
Il caffè è finito. Mi alzo e getto un'ultima occhiata alle 3 famiglie.
La loro indifferenza verso ciò che sta accadendo è inquietante.
Passo accanto ai bambini proprio mentre un quarto minore si unisce alla compagnia. È una bambina. Avrà 5 anni. Chi l'accompagna sarà seduto da qualche parte. Prova ad arrampicarsi, scivola, ci riprova. Ora sono in 4 a tentare di distruggere qualcosa che per gioco o per regola non andrebbe distrutta. Perché crescendo dovrebbero pensare che rompere una panchina o prendere a calci un distributore di bevendo non sia «corretto»?
I giochi dei bambini non sono e non dovrebbero essere mai considerati dei semplici passatempi o uno stratagemma per prendere fiato dalla fatica di essere genitori.
Osservare se e come essi si relazionano con gli altri e con il mondo, intervenendo di fronte alle difficoltà o agli errori «comportamentali» significa Educare.
